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Polonia, 5

11.03: il problema grosso di questa lingua di cui non sono in grado di pronunciare nemmeno le parole piu’ banali e’ che non posso essere untuosamente cortese come e’ mia prassi.

11.04: e le mie giornate semplicemente non sono complete se non ho la certezza che qualcuno abbia pensato di me “va’ che brava tusa”

11.05: “tusa” = “ragazza, figlia”

11.06: (in milanese, eh)

11.07: plur. tusan, con l’accento sulla a.

11.08: mentre il corrispettivo maschile e’ bagai (invariato al plurale)

11.09: ma dicevamo

11.10: questa e’ una lingua in cui non so nemmeno dire grazie, quindi mi riesce un po’ difficile veicolare appieno la sfumatura rispettosa ma piena di vivacita’ con cui do’ del lei ai miei interlocutori.

11.11: e io me ne dispiaccio.

11.12: ma non me ne dispiaccio abbastanza da superare quello scoglio dell’intorcinamento alla lingua che mi colpisce quando tento di dire “prego” in polacco.

11.13: allora ho elaborato tutte delle mie piccole strategie.

11.14: tanto per cominciare, metto a frutto quei sette-otto anni che sono serviti al mio dentista a comperarsi una barca, vale a dire sorrido come se mi avessero messo il curaro nel burro di cacao.

11.15: (che peraltro non uso)

11.16: nella foto, io che riposo i muscoli delle guance in vista di una faticosa interazione solitaria con il mondo esterno (= avevamo finito la cocacola). Notate anche l’abbigliamento rassicurante e i capelli ben pettinati.

11.17: quindi, il sorriso perenne.

11.18: poi, delle tre l’una.

11.19: a seconda di chi mi si para davanti, posso mormorare cortesie in tedesco.

11.20: (Sulla scorta di questo semplice ragionamento: la Germania e’ abbastanza vicina)

11.21: (certo, pure l’Austria a Milano, ma cosa vuol dire)

11.22: se non sono in vena di danke, la butto sull’etnico e intono brevi saltellanti melodie al mandolino, rimpiangendo abbastanza i baffi che mi sono strappata prima di partire.

11.23: in alternativa, e si tratta senza dubbio della mia strada prediletta, mi guardo bene dall’emettere anche solo un flebile sospiro e mi paro nella simulazione piu’ totale di mutismo, accompagnata dalla mia migliore esecuzione de Gli Occhi Buoni.

11.24: un po’ la mia Blue Steel.

11.25: poi ci sono le finezze, i tocchi personali.

11.26: come con il mio amico custode del dormitorio, al quale significo su base quotidiana la mia stima in una maniera che mia nonna sono sicura approverebbe con tutta se stessa: insistendo sullo zerbino dell’ingresso per un totale di trentasei minuti al giorno.

11.27: l’inglese, naturalmente, vigliacca scorciatoia, viene riservato alla gente che non e’ nella posizione di bravatusarmi.

11.28: tipo la gente qui al college, le tipe dell’informazia, quelli che ci provano mentre sono in coda in posta e tento farmi affrancare le piu’ brutte cartoline della storia.

12.31: oggi prendiamo la macchina.

12.32: che e’, peraltro, coperta da uno strato abbastanza impressionante di cacca d’uccello.

12.33: e andiamo a mangiare in un posto un po’ da hipster dove servono come specialita’ gigantesche omelettes con ripieni complicati.

12.45: oh, buone sono buone.

12.51: molto buone.

12.56: enfasi su molte.

12.57: una foto hipster del doggy box che ci siamo fatti fare

(to be continued, a patto che sopravviva all’andare a prendere la pizza senza preavviso e coi capelli bagnati, stay tuned)



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