Franck Provost


All’armi, lettori, all’armi: un outsider ha rapidamente scalato la classifica degli hairstylist che hanno l’onore di potersi definire miei nemici (classifica in verità occupata dal solo Jean Louis David, dopo che in uno dei suoi saloni un parrucchiere troppo zelante mi ha con l’inganno tagliato 20 cm di capelli anziché limitarsi alla “spuntatina” che gli era stata richiesta) piazzandosi al primo posto e mettendovi immantinente radici – e si sa, chi colpisce una donna rovinandole i capelli merita perlomeno l’ostensione permanente delle sue malefatte nella gogna della blogosfera, da dove si spera che l’eco di un commento negativo si propali in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Di seguito i fatti: ieri pomeriggio rientro a casa dopo essere uscita con la pioggia e un’umidità del 230%. I miei capelli ne hanno risentito in modo così vistoso che decido di lavarli e trattarli senza indugio ma insorge una difficoltà: il mio flacone di shampoo è inesorabilmente vuoto. La mia dannata pigrizia e la tempesta che imperversa fuori dal tepore delle mie quattro mura ricacciano subito indietro l’idea di uscire di nuovo e comprare quello che mi serve, così mi guardo intorno e prendo a frugare tra i prodotti da bagno dei miei genitori. Da tale perigliosa ricerca riemergo con un flacone dall’aria professionale che reca il nome di tale Franck Provost e promette miracoli per i capelli stressati e rovinati; così, anche se dopo aver aperto il tappo per sentire l’odore ci è mancato poco che stramazzassi al suolo, tramortita da una puzza di plastica che non di norma non mi fa piacere nei prodotti destinati ai miei capelli, decido di dare una chance al signor Provost. Me ne sono pentita un’ora più tardi quando, sciogliendo il turbante che avevo in testa per asciugare tutto e uscire, mi sono resa conto che la mia chioma diligentemente nutrita di balsamo e pettinata con cura (sebbene con maggiori difficoltà rispetto al solito) si era trasformata in un ammasso informe e singolarmente pesante di sterpaglie. Così, mentre un’espressione di insopprimibile raccapriccio si faceva strada nel mio volto, ho immerso la mano nel blob e, orrore degli orrori, ho incontrato nodi grossi come un’unghia. Nodi! Nei miei capelli! Ignorando la parola che già martellava nella mia mente malata (“calvizie, calvizie, calvizie”) ho brandito il pettine per correre ai ripari – ma ahimé, impari fu la lotta e inevitabile la sconfitta. Asciugavo e districavo, districavo e asciugavo, e su tutto spargevo copioso olio lisciante, ma dalle ceneri della mia chioma lucente, docile e leggera sorgeva un nuovo mostro, ipervoluminoso e ingovernabile, che mi salutava beffardo dallo specchio in quel secondo di spettrale silenzio compreso tra il clic del phon che si spegneva e l’inizio di un frustrato turpiloquio. Turpiloquio che è naturalmente scivolato nella più stentorea blasfemia non appena mi sono accorta che le fragili punte su cui lavoro, a questo punto invano, da mesi si erano di nuovo divise in due, tre, quattro parti e che molto tempo dovrà trascorrere prima che riacquistino una parvenza di salute (a meno che non mi rifugi in una rasatura a zero). Donne, questo post è scritto per voi: la difficile prova appena raccontata mi ha insegnato che è mio preciso dovere impedire che Franck Provost e la sua spregiudicata turma di sedicenti professionisti del capello rovinino altre esistenze oltre la mia. Ma devo ancora rinvenire dallo shock e ho il cuore così gonfio di frustrazione e indignazione da non poter far altro che levare al cielo un accorato appello: boicottaggio ai danni del malandrino. Se ci tenete ai vostri capelli. Filed under: Furti legalizzati, Nemici
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